Castiglione e le epidemie: dalla restaurazione fino all’unificazione
Altro interessante appuntamento quello organizzato, presso Palazzo Menghini, dall’Associazione Culturale “Francesco Gonzaga” durante il quale si è parlato delle epidemie che colpirono Castiglione delle Stiviere: dalla restaurazione all’unificazione. Introdotto dal Presidente Aldo Botturi, il relatore dell’incontro Gabriele Mazzucchelli, coadiuvato nella discussione da Michele Favro, si è occupato del tema confrontando fonti documentali che spaziano dall’archivio parrocchiale a quello comunale. La nostra città ha avuto, purtroppo, un passato notevole di contagi di massa, a partire da quello di fine Cinquecento che ha portato alla costruzione della Chiesa palatina dei Santi Fabiano e Sebastiano, eretta proprio per scongiurare un’epidemia di peste. Poi nel Seicento, altra ondata di peste citata anche da Manzoni nei Promessi Sposi. Mazzucchelli nella sua ricerca, poi, tralasciando il Settecento del quale ci sono pochi documenti a riguardo, si è soffermato maggiormente sugli anni che vanno tra il 1816 ed il 1859, cioè dall’inizio della restaurazione fino alla Seconda Guerra di Indipendenza: quindi, l’unità d’Italia. Si tratta di un periodo molto più vicino ai nostri giorni rispetto alla, già citata, peste manzoniana. Dopo il Congresso di Vienna, il nostro Paese usciva da un periodo difficile e c’era una situazione precaria, motivo per cui le malattie dell’Ottocento colpivano per lo più le classi sociali più povere.
Tra il 1816 ed il 1817 si diffuse il tifo che fece stragi in vari territorio tra cui anche quello di Castiglione. Il tifo si trasmetteva tramite i pidocchi e questo rifletteva le condizioni disagiate in cui si viveva in quel periodo. Probabilmente, arrivò nella cittadina aloisiana con i soldati che ritornavano dalle guerre napoleoniche. All’epoca, però, si riteneva che la diffusione avvenisse anche a causa dei vagabondi che si spostavano continuamente. Altra epidemia degna di nota, fu quella del vaiolo che fu la malattia del Settecento per eccellenza. Si manifestava con delle terribili piaghe sulla pelle ed il tasso di mortalità era molto alto. A Castiglione, nel 1831, come emerge dai registri mortuari, furono sette i defunti. Molti danni fece anche il colera che aggrediva, senza lasciare scampo, il tratto gastro-intestinale. In Italia, i primi casi, ci furono nel 1825. Il ceppo infetto partì dall’India nel 1817, poi si diffuse dapprima in Russia e così in tutta Europa. Durante il periodo studiato da Mazzucchelli ci furono tre epidemie e la più grave fu la prima cioè quella tra il 1835 ed il il 1837. La capitale dell'Alto Mantovano fu colpita rispettivamente nel 1836, nel 1849 e nel 1855.
Nel giugno 1832, quando il colera era già presente in alcune zone d’Europa, c’era parecchio timore. L’epidemia, poi, prese il largo definitivamente a Castiglione, quando un soldato morì nell’allora ospedale militare per una malattia intestinale sospetta: il colera, appunto. Nel 1836, nel capoluogo morenico, ci furono 184 morti su una popolazione di circa 5000 abitanti; nel 1849, 7 morti; nel 1855, 117 morti. Il colera aveva il suo maggior tasso di trasmissibilità durante l’estate, attraverso l’acqua potabile, ovvero quando la popolazione beveva di più. Le epidemie scoppiavano quando c’era una inadeguata separazione tra l’acqua che era da bere e l’acqua, cosiddetta, “nera”, cioè quella predisposta per i condotti fognari. Da alcuni documenti, si legge inoltre che i castiglionesi, per scongiurare e far terminare al più presto i contagi da colera soprattutto del 1855, fecero anche un voto a Maria e con particolare solennità.
Angelo Maria Castaldo
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